CANTO DI MAGGIO
UN'IDEA MUSICALE E IL SUO PERCORSO
È cominciato tutto da un libro. Un vecchio libro regalatomi dal mio amico il professor Giorgio Grisanti, medico insigne, originario di Isnello. Uscito per i tipi di Alberto Reber nel 1901, ha per titolo Pensieri ed affetti ed è una raccolta di poesie tra il 1857 ed il 1901 ad opera di Monsignor Cristoforo Grisanti, illustre etno-antropologo isnellese, nonché antenato del professor Giorgio.
Ricordo bene le sensazioni vissute in quella sera d'inverno quando, con l'aiuto di un piccolo tagliacarte, mi accinsi per la prima volta a separare tra di esse le pagine ingiallite ma ancora intonse del volumetto, ritrovandomi, con lieta sorpresa, innanzi a uno stuolo di poemi, inni e liriche varie dall'alto profilo metrico e stilistico oltre che compositivo.
Peregrinando così, nella notte, fra le variegate creazioni letterarie del Grisanti, così affettuose e così familiari, in massima parte inneggianti alla natura , ai luoghi e alla gente della sua terra, l'attenzione mi cadde poi, quasi per caso, su un Inno sacro dedicato alla festa del SS. Crocifisso ad Isnello, e datato Primo Maggio 1868.
Lì per lì ebbi soltanto l'impressione che si trattasse del solito componimento religioso di circostanza, scritto da un giovane sacerdote, colto e amante della poesia, in omaggio al suo paese. Ma poco dopo, qualcosa di simile a un brivido, a un folgorio immediato, mi discese per tutta la schiena.
Era il testo della frottola. L'antico testo che era andato praticamente perduto, dimenticato. Erano le parole composte per quella musica che avevo imparato a conoscere e ad amare più di ogni altra, per forza di cose, fin da bambino. La stessa musica suonata da mio nonno e da mio padre nella banda del paese, in quel giorno di avvenente primavera. Quella stessa musica orfana da troppo tempo del suo canto di lode, della sua festosa e acclamante letizia, a gloria del Cristo Crocifisso.
Mi sembrò giusto fare qualcosa, a quel punto. E il primo passo da compiere fu quello di pensare a legare più verosimilmente, non essendoci partitura o altra documentazione appropriata, il testo del Grisanti al brano strumentale sopravvissuto, anche se con taluni tangibili ed evidenti errori di scrittura. Mi permisi, inoltre , di operare dei cambiamenti anche nei riguardi del testo originale, per favorire una maggiore coesione tra fonazione e cantabilità, cercando al tempo stesso di rispettarne la stesura poetica primaria e renderlo di conseguenza più eseguibile.
Nella primavera del 2000, ebbi l'idea di coinvolgere, insieme al mio coro delle Voci Bianche, anche la Fanfara dei Carabinieri del XII Battaglione Sicila, diretta da Paolo Sena, per consentirne una pubblica esecuzione in occasione della festa di quell'anno. Ne parlai con il Generale Giorgio Piccirillo, allora Comandante della Regione, avendo già conosciuto di lui, in precedenza , la particolare sensibilità ed attenzione, verso ogni fermento socio-culturale ed artistico riguardante la vita della nostra isola. Egli sostenne l'idea con disponibilità ed entusiasmo, e così, insieme alle autorità civili e religiose di Isnello e al Conservatorio di Musica Vincenzo Bellini di Palermo, avemmo modo di preparare la manifestazione.
Il 29 aprile 2000, nella sala Scarlatti del nostro Istituto Musicale, il brano fu presentato, suonato e cantato da noi per la prima volta a Palermo, in omaggio al suo autore, Carlo Vito Graffeo che oltre un secolo prima, probabilmente entro quelle mura, l'aveva composto. Due giorni dopo, il Primo Maggio, sempre con le medesime formazioni del Conservatorio e dei Carabinieri, nella cornice assai suggestiva di Isnello, la musica di Graffeo e il testo del Grisanti poterono finalmente echeggiare insieme nel loro contesto naturale, per le strade del piccolo centro madonita, in onore alla gente e alla Festa per cui essi erano stati concepiti.
Ci sono momenti , tra lo scorrere del tempo in un luogo, che più di altri rimangono impressi ed incisi nella memoria di una comunità, che maggior- mente ne rispecchiano, di essa, l'afflato e lo scambievole sentire. Credo che quel giorno sia stato uno di questi: dove ci è sembrato assai palpabile , da parte di tanti, l'orgoglio e la fierezza di appartenere a quel punto preciso del mondo; nell'aver veduto l'arte e la cultura mischiarsi con i gesti e le cose di sempre, e la musica inchinarsi alla gioia e al pensiero di molte anime semplici, ma non per questo meno vive o profonde.
L'idea di Canto di Maggio è nata proprio da qui. Oltre che dal bisogno di lasciare un documento, una testimonianza, di contro a tutto ciò che, nei nostri tempi, siamo portati assai spesso e in fretta a lasciar dimenticare. Avevo pensato, in prima battuta, di realizzare soltanto un video inerente la riproposizione del brano delle Frottola, utilizzando l'ottima incisione in CD registrata in Conservatorio e le belle riprese effettuate dall'operatore Vincenzo Di Stefano ad Isnello, il giorno della festa. Pian piano, invece, si è fatta avanti con sempre maggior convinzione la volontà e il desiderio di in racconto dal respiro più ampio ed organico, che potesse riflettere più profondamente il senso e le ragioni di quella giornata. Le immagini a disposizione, tuttavia, non erano per nulla sufficienti. Abbandonai il progetto per qualche tempo, un po' intimorito nel dover sovrappormi in un ruolo che non mi apparteneva, ed anche contrariato da una qualche diffidenza nei miei riguardi. Ma a volte gli impedimenti e le difficoltà sono uno stimolo ulteriore a perseguire i nostri obiettivi. Così chiamai al telefono Vincenzo Di Stefano e iniziammo da subito le riprese. Cominciammo con alcuni ragazzini della scuola. Quei due o tre giorni lontani dalle lezioni furono, per essi, una manna caduta dal cielo. Ed anche per me. Capii e fui felice di comprendere che non era cambiato nulla , in tanti anni. Non era vero che i loro animi erano mutati, che le loro menti si perdevano appresso a chip e videogiochi. Un poco, forse. Ma i sogni veri di essi rimanevano ancora a ricorrersi in grembo agli stessi vicoli, lungo i muri delle stesse case. Con baluardi d'amicizia da difendere per sempre , e sciarre di un solo minuto, a pesare come macigni, dentro il proprio cuore innocente. Fu la volta dei grandi, poi. Un po' sospettosi, taluni, all'inizio, e incerti sull'efficacia delle loro azioni e del loro apparire; maledicenti se stessi, in qualche caso, per l'emozione subita davanti alla macchina da presa, rincuorati, alla fine, che neppure una lieve defaillance, o uno scacare maldestro sulla strofa, avrebbe fatto mai comparsa sullo schermo e che tutto, invece, sarebbe andato liscio come l'olio.
La mattina con la Gnà Nora,l'anziana, ultracentenaria donna di Santa Jurnata, fu di per sé un'altra poesia; assai di più di quanto non si possa semplicemente percepire dal fluire del breve episodio filmato. Fu un esempio. Un annuire dolce e continuo dello sguardo. Una condiscendenza affettuosa , senza fine.
-Vasassi! Vasassi u cori di Gesù !- le chiedevo, incitandola a compiere un preciso gesto, dentro la sua stanza linda, adorna d'immagini sacre.- Iò, bedda Matri, un finissi mai di vasarlu! - mi rispose, nel suo sorriso di un candore disarmante, assoluto, percorso da mille rughe di saggezza; invitandomi poi ad accettare una bottiglia di vino che aveva già sistemato con cura in un sacchetto. E che dire, delle riprese fatte a Giacomino Lusignolo, il capo stendardieredalla barba bianca; con il suo grande palio azzurro simile a un veliero sopra i mari, armeggiato come un fuscello, fra le braccia, sul mento, persino sopra i denti , innanzi a mille occhi attoniti e ammirati. E la sua recita in versi della frottola, nel baglio di Don Isidoro, fu di una tenerezza quasi inenarrabile. Ostentò una calma placida e olimpica , all'inizio, quasi sfidando l'obiettivo della videocamera. Poi vacillò, in mezzo agli aggettivi, tra le paludi degli avverbi, e si innervosì, chiamando a raccolta in un istante dal cielo figure ignote di santi e patrone. Fino a quando un guizzo felice della mente gli fece ricordare tutto, parola per parola, di filato. Ed egli, appagato e raggiante, se ne uscì allora verso il bar, a premiarsi con un litro e mezzo di aranciata.
Finimmo di girare dieci giorni più tardi, dopo mattinate trascorse fra ruscelli e trazzere, sopra i campanili invasi dai colombi, tra edicole votive abbandonate accanto alle vigne e alle fiumare. Non riuscimmo a riprendere, ahinoi, la tribunedda del Sacramento, stupenda e solitaria, ai piedi della Madonìa, per via di un cane di mandria, nero ed irsuto, che volle inseguirci, ringhioso, fino all'automobile, sprezzante del nostro impavido coraggio. Non fu il caso di insistere.
Me ne tornai in città con il materiale acquisito. Tutto quanto mi era stato utile, se non altro, a riavvicinarmi verso luoghi e cose che credevo perduti, ad appropriarmi ancora , come per un dono riottenuto dalla sorte, del loro profumo, del loro sapore.
Così, a casa, sera per sera , cominciai a prendere visione delle immagini effettuate , con l'intento di ricondurle , pian piano, nella sfera di un ben preciso percorso narrativo ad episodi, delineato preminentemente dalle musiche che avevo individuato e preparato in precedenza. Si tratta quindi di accostare ciascuna sequenza visiva prescelta , agli incisi e alle frasi musicali dei vari brani.
Andai avanti per mesi, dedicando all'idea di Canto di Maggio tutto il mio tempo libero, cercando ogni elemento che in qualche modo potesse risultare utile: frammenti in V.H.S. ad opera di semplici videoamatori, vecchi nastri a bobina, fotografie, diapositive e quant'altro. Alla fine, ciascun tassello dell'impaginazione parve essere a posto.
A quel punto , rendendomi conto delle reali proporzioni del lavoro, parlai a Pino Mogavero, il Sindaco di Isnello, della mia necessità di ottenere , da parte dell'Amministrazione Comunale, un budget minimo relativo alla sua realizzazione tecnica. Gli raccontai del lungometraggio e della compiutezza di intenti verso la quale esso ormai era approdato. Mi offrì subito il suo incoraggiamento e la sua disponibilità. Nel frattempo, ero riuscito a mettermi in contatto con Michele Placido. Mi ero esibito qualche mese prima , al Concerto per l'Anniversario dell'Arma dei Carabinieri al Politeama Garibaldi di Palermo dove anche lui era stato invitato , come ospite d'onore. Appresi della sua vicinanza , del suo profondo legame, affettivo e familiare con la Benemerita . Gli scrissi qualche giorno più tardi, chiedendogli di leggere una breve poesia che intanto avevo composto. Nessuno, pensavo, avrebbe potuto recitarla meglio di lui, niente sarebbe stato meglio del suono della sua voce, per quei versi. Egli accettò e di lì a poco mi recai a Roma ad incontrarlo e a registrare il pezzo. Fu accondiscendente e semplice come soltanto i grandi sanno esserlo e ancora oggi, ascoltando il cadenzare di quelle parole, rese così profonde e sublimi, un senso di ancor muta, intima gratitudine mi prende verso di lui, oltre al valore assoluto della sua arte, per questo suo gesto di così sincera e appassionata generosità.
Le stesse cose si potrebbero dire su Claudio Capone, a cui avevo pensato per la lettura del breve prologo iniziale: sul suo contributo, dettato dal medesimo impulso di slancio e sensibilità, a sua volta prezioso e decisivo, nel lasciare ad un luogo come Isnello e alla sua gente, il segno di un carisma narrante raro ed ineguagliato.
L'intero progetto, intanto, ormai aveva raggiunto la sua fase più delicata e culminante, quella legata al montaggio in audio e in video di tutti gli episodi. È stato senz'altro il momento più duro e difficile di tutto il lavoro, protrattosi per dodici ore al giorno, lungo l'arco di quasi due mesi, tra gennaio e marzo, presso gli studi della C.L.C.T. Broadcasting di Palermo. Guidato passo passo dai consigli e dall'illuminata esperienza di Katia Iseler e Sergio Gianfalla, mi accingevo a veder nascere,poco alla volta , battuta per battuta, le prime clips di Canto di Maggio: il loro snodarsi lento e perpetuo accanto agli spartiti , l'avviarsi di esse verso azioni semplici di fatti e di storie, e al loro prender forma, poco a poco, nello stesso modo in cui tante volte, nelle mente, le avevo guardate e ascoltate.
Terminai il montaggio in una sera fredda e piovosa di Marzo, uscendo dallo studio con i pensieri ancora invasi da incroci, rallentati, dissolvenze e quant'altro. Mi sentii d'un tratto liberato e felice, padrone di nuovo del mio tempo, di guardarmi le vetrine, di osservare le donne per le vie del centro, eleganti e frettolose, sotto ai loro ombrelli. Mi sedetti sopra una panchina di Piazza Castelnuovo, dopo averla prima asciugata col bavero dell'impermeabile. Rimasi in silenzio, col sottofondo del traffico, continuo e fluttuante, a irradiarsi per le strade intorno, dentro quell'aria grigia, sommersa da mille luci ineguali, che si stendeva fino alla schiera dei palazzi. Alzai gli occhi verso il palchetto della musica che mi stava di fronte. E allora, quasi d'un tratto, mi misi a piangere; di un tristezza quieta, consolante, quasi che fosse venuta fino a lì, in mezzo alla città, a scaldarmi apposta il volto ed il cuore. Pensai al mio mestiere, al pianoforte che avevo abbandonato durante tutto quel tempo , per rincorrere invece un'altra parvenza di sogno; una sorta di fuga d'amore dal proprio pur lieto destino, dalle proprie cose da sempre carezzate, che ora invocava, dulcis in fundo, la sua umana razione di perdono.
Mi rimaneva, in verità, un ultimo impegno da assolvere: l'impaginazione dei titoli di testa , sul nero dello schermo, sopra un fondo musicale che racchiudesse, il più possibile, una linea poetica dall'alto senso evocativo.
Brancolai nel buio, scartando via via ogni diversa soluzione prospettata, fino a quando, una notte, mi fermai a riflettere sul suono di una voce che più mi sovveniva sulle altre; che tante volte mi aveva accompagnato nel corso della infanzia, col suo incedere fiero e stentoreo, per tutte le feste trascorse al mio paese. Era la voce di Don Giuseppe Peri. Il vecchio prete, verso cui la gente di Isnello nutre ancori oggi un tenero e memore affetto, era purtroppo scomparsi da anni. Mi ricordai tuttavia, oltre che della sua passione per il canto, anche dell'abitudine che egli aveva preso, nel tempo, di recarsi in chiesa a registrare, nella solitudine di certe ore vespertine, con l'aiuto dell'organo, i brani dell'antica tradizione popolare e religiosa isnellese, tramandatigli nel corso di un'intera esistenza. Chiesi notizia ai parenti, se per caso, tra le cose ch'egli aveva lasciato, vi fossero rimasti dei nastri magnetici o vecchie cassette. Dopo una breve ricerca con esito felice, ebbi il materiale a disposizione, incontrando peraltro la fortuna di ritrovare ben presto proprio la sua incisione dei canti sacri dedicati al SS. Crocifisso. Ecco, il mio Canto di Maggio inizia proprio da qui: dalla voce di quell'uomo, risorta per caso, da un oblio quasi irredimibile, riesumata dal silenzio di decenni trascorsi dentro a uno scaffale. Da quei versi antichi, di rara bellezza, scaturiti da ceneri di sonni e di dimenticanze. Da quelle musiche intense e sublimi, intonate per secoli ad ogni primavera tra le volte imbiancate di una chiesa; la stessa che vediamo disfarsi, a tutt'oggi innanzi ai nostri occhi, sopraffatta dai diluvi, dalle nevi, dal giogo della nostra indifferenza. A questa chiesa vorrei affidare ora un ultimo pensiero. Santa Maria Maggiore, tutti lo sappiamo, costituisce innegabilmente, per tante ragioni, l'emblema stesso di Isnello; è il luogo che attrae maggiormente ogni turista o viandante, per quel suo ergersi superbo sopra un proscenio naturale d'incanto; dove le rocce candide e scoscese vanno a plasmarsi in modo lieve e mirabile con le gemme del suo tratteggio architettonico. È anche simbolo, l'esempio, il baluardo perenne di fede eretto dalla sua gente , a scandire, giorno per giorno, da tempo immemorabile, il richiamo legato ai valori della propria storia e dei propri sacri ideali. A cagione di ciò non avrebbe senso, da un lato , raccontare con un lungometraggio le vestigia di un luogo, con i suoi eventi e le trame della sua memoria e dall'altro assistere inerti al decadimento inesorabile di muri, tetti, fregi, affreschi, e di quant'altro creato, per questa chiesa, dalla mano, dal sacrificio, dal lavoro e dalla fantasia degli uomini. Lasciare che Santa Maria, o altri tesori d'arte, vadano incontro al proprio ineluttabile e amaro destino, è un grave peccato , oltre che una mera ingiustizia; così come l'impegno per il loro immediato recupero e restauro è una responsabilità da cui nessun politico, religioso, uomo di cultura o semplice cittadino può sottrarsi. Un atto, una prova di coscienza , di maturità civile, alla quale tutti siamo chiamati.
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La Confraternita dell'Assunta

Michele Placido

Antonio Sottile

Il Cristo di Santa Maria

La Fanfara dei Carabinieri Sicilia

Il Maestro Paolo Sena

La Banda S. Cecilia

Il Maestro Giuseppe Testa

La Chiesa di Santa Maria

Claudio Capone

Giovanni Pepi

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